APPROCCIO COGNITIVO RELAZIONALE

Quello cognitivo relazionale, anche detto cognitivo zoo-antropologico, o cognitivo sistemico, è un approccio e non un “metodo”. Non è il metodo utilizzato per insegnare al cane qualcosa, come un “comando”, è più la modalità di lavoro a priori, che arriva ancora prima di “come insegno questo al cane”.

Quando un educatore o istruttore che segue questo approccio, come me, viene contattato da un cliente, cerca dapprima di analizzare la situazione a livello sistemico, dove il “sistema” è composto da: cane + nucleo famigliare (umani e altri animali) + contesto di vita (casa, stile di vita, ambiente vissuto). Su questi fattori si lavora per modificare, se necessario, alcuni dei fattori, ancora prima di agire sul cane.

Molto spesso ci sono problemi di incomprensione da parte degli umani verso alcuni comportamenti del cane, dei suoi bisogni, delle sue emozioni. Il primo passo quindi è aiutare gli umani a capire meglio il loro cane, a conoscerlo; anche se qualunque umano è convinto di conoscere il proprio cane meglio di chiunque altro, spesso un occhio esterno aiuta a vedere le cose con un occhio più “pulito”, più oggettivo, non influenzato dal proprio vissuto, nonché con l’esperienza che un professionista ha e che gli permette di “leggere” il cane meglio di chi lo vede tutti i giorni, senza saperlo capire a fondo, perché la chiave di interpretazione è spesso, nei non professionisti, influenzata da credenze, convinzioni, magari popolari o che derivano da retaggi ormai superati. Un professionista è formato e si forma continuamente; d’altronde la cinofilia negli ultimi 40 anni ha avuto un’evoluzione importante, da quando numerosissimi studi sono stati fatti sui pets, che invece prima erano abbastanza ignorati dall’ambito scientifico e le scoperte fatte sono cospicue e importanti.

Una volta che il nucleo famigliare inizia a comprendere meglio il proprio cane, è altrettanto importante che impari a comunicare nel modo giusto, facendo sì che la comunicazione diventi efficace: l’emittente quindi emette messaggi che vengono compresi dall’interlocutore.

Quando l’umano (o gli umani) che vive col cane impara a conoscerlo, capirlo e farsi capire a sua volta, si è già fatta una buona fetta del lavoro.

A questo punto quello che spesso accade è che vengano fatte modifiche “gestionali”, cioè andando a cambiare abitudini, strumenti, modalità di interazione e di comunicazione che possono aiutare il cane a soddisfare i propri bisogni. Già questo passaggio porta alla risoluzione di “problematiche” anche importanti.

Come avete capito tutto questo lavoro, che non è assolutamente banale né immediato, porta a modifiche a livello sistemico che sono proprio a livello radicale e che portano all’estinzione di comportamenti, da parte del cane, che sono ad esempio semplice espressione di frustrazione, stress, malessere. Il cane a quel punto non mette in atto questi comportamenti che non erano altro che la punta dell’iceberg, ma che erano il motivo per cui i clienti chiamano un professionista.

Vi faccio un esempio per rendere più chiaro il tipo di lavoro: un cane che tira tremendamente al guinzaglio, può farlo per molti motivi, ad esempio perché è ansioso, perché il contesto nel quale esce lo spaventa, perché non esce a sufficienza, perché ha un guinzaglio così corto che non gli permette di annusare, perché ha un problema relazionale con gli altri cani che incontra.

Andare a lavorare specificatamente sulle tecniche di conduzione del cane al guinzaglio inibendo il comportamento potrà, forse, rendere il cane un perfetto soldatino che cammina benissimo al guinzaglio senza tirare mai.

Questa metodologia però, ha diversi punti deboli: eticamente non è corretto, a mio avviso, perché stiamo ignorando bisogni, disagio, emozioni di un essere che abbiamo deciso di portare a casa nostra, assumendoci la responsabilità del suo benessere. Dal punto di vista puramente tecnico, l’inibizione pura tramite punizione di un comportamento (qualunque) che ha radici profonde, porterà diverse conseguenze spiacevoli: la relazione con il nostro amato cane perde punti perché il cane si sente, di nuovo, incompreso; la fiducia del cane nei nostri confronti si sgretola e questo può portare a problemi diversi, ma anche più gravi. Lo stress, il disagio, se non può essere espresso in quella modalità, troverà un altro modo per emergere, quindi avremo solo slittato da un problema a un altro.

Molti diranno che usano il “metodo gentile” per disincentivare alcuni comportamenti. Ed ecco che emerge l’enorme differenza tra metodo e approccio. Il metodo gentile potrebbe, ad esempio, usare il contro-condizionamento, premiando il cane (non necessariamente sempre e solo con cibo) per indurlo a comportarsi diversamente, ad esempio quando il cane vede un altro cane, se smette di guardarlo (e tirare) e mi guarda io lo premio. Oppure tengo un bocconcino in mano in modo che finché il cane non è passato il mio cane resti col naso attaccato alla mia mano tutto il tempo, ignorando l’altro. Così facendo, apparentemente, il cane non tirerà più verso gli altri cani. Capirete da soli, a questo punto, che questo “metodo” è solo “mettere una pezza”. Il cane apprende un comportamento sostitutivo, ma non risolve il suo disagio verso gli altri cani alla radice. Avremo quindi tamponato il problema, ma non lo avremo risolto. Potrà sembrare che questo sia il modo più veloce, e apparentemente efficace, ma è solo un’illusione.

Attenzione: non sono contraria né alla punizione* né a certi lavori in contro-condizionamento, in alcune situazioni, o temporaneamente mentre poi lavoro alla radice del comportamento; sono però ben consapevole che questa non è la soluzione, ma appunto solo un rattoppo.

Le situazioni vanno ponderate analizzando il sistema ogni volta, non esiste una soluzione valida in assoluto, quindi avere più strumenti è il bagaglio che ogni professionista dovrebbe portarsi dietro, proprio per adattare il lavoro ad ogni singolo sistema.

La priorità dovrebbe essere sempre e comunque fare un percorso che vada a lavorare sulle basi, come indicato, tenendo come “riserva” o come “tappo temporaneo” le soluzioni che lavorano per inibire o condizionare.

Quando, dunque, si chiede “il mio cane fa XXXX, come faccio a farlo smettere?”, la risposta non è “fai così”, ma è “perché lo fa?”. Senza capire la causa di un comportamento qualunque risposta sarà un tamponare la situazione.

*per punizione si intende un qualcosa che si aggiunge (punizione positiva) o si toglie (punizione negativa) per inibire un comportamento, quindi va dallo strattone al “no”, al togliere pressione dal guinzaglio. Personalmente sono assolutamente contraria alle punizioni corporali.

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